Oggi parliamo di storia e, in particolare, della storia della rivoluzione digitale applicata al mondo bancario.
Letteralmente “Tecnofinanza”, Fintech è un’etichetta oggi molto abusata nell’universo della New Economy, nata nel 2009 (non a caso l’anno di nascita del bitcoin), che coniuga due concetti, quello di financial e quello di technology e si riferisce a nuove applicazioni, processi, prodotti o modelli di business nel settore finance.
Le abitudini degli utenti cambiano in fretta, un cambio di passo che coinvolge, tra gli altri, tutta una serie di prodotti e servizi finanziari che, all’incirca a partire da questi anni, cominceranno ad essere erogati attraverso le più sofisticate tecnologie finanziarie: dalle valute ai prestiti, dai sistemi di pagamento al retail banking.
Inizierà così a cambiare anche tutta la configurazione dell’offerta bancaria e dei sui modelli di servizio. Una rivoluzione da tempo nell’aria, se si considera che già nel 1998 con la nascita di Paypal o nel 2001 con il lancio della prepagata di Starbucks, la banca ‘classica’ ha cominciato a sgretolarsi sotto la spinta di competitor inattesi, provenienti dall’esterno del sistema, nonché sotto le pressioni dei Millennial, con la loro familiarità con le tecnologie digitali e con i loro modelli di consumo completamente diversi rispetto alle altre generazioni.
Ma chi sono questi nuovi player?
Sono delle piattaforme online estremamente dinamiche e diverse tra loro, tutte caratterizzate da una struttura estremamente snella e dall’utilizzo di tecnologia digitale e delle reti al fine rendere i processi bancari e finanziari più veloci ed efficienti rispetto ai servizi tradizionali che di solito venivano offerti dalle banche, potenziando la quantità dei prodotti ma anche la qualità dell’experience.
Stiamo parlando essenzialmente di e-payment, crowdfunding e crowdinvesting, asset management, risk management, accounting, social investing, P2P Lending, servizi di analisi dati (come ad esempio il Credit scoring) e tantissime altre forme di investimento e di attività finanziarie. Insomma, per farla breve, è un po’ ‘Banking without Banks‘.
Questi soggetti sono in genere start-up o aziende nate con tutt’altro scopo che, essendo esterne al sistema finanziario, sono per lo più “estranee” ai requisiti di compliance imposti alle banche ed agli altri intermediari finanziari soggetti a regolazione bancaria. Una cosa di non poco conto insomma.
A confermare la tendenza in atto, se ancora qualcuno dovesse avere bisogno di conferme, sono i dati estrapolati dal Millennials Disruption Index (MDI) di Scratch (2015): un Millennial su tre, ad esempio, pensa che in futuro non gli serviranno banche e il 73% degli intervistati sembrerebbe più attratto da un’offerta di servizi finanziari da parte di Google, Amazon, Apple, PayPal rispetto all’offerta di una delle principali banche della propria nazione.
E sotto queste nuove spinte, gli Istituti Finanziari devono necessariamente modificare radicalmente anche i loro paradigmi di comunicazione, passando a modelli relazionali sempre più personalizzati, dalla transazione alla relazione. Una trasformazione verso la banca aperta, l’era del FinTech, insomma.
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